martedì 22 giugno 2010

Abitudini

Dopo mesi che i cottonfioc mancavano dal nostro bagno, finalmente oggi compare una scatola da 300 bastoncini sterili di cotone sull'armadietto sopra al lavandino. Io e i due ciuchini facciamo le cose che si fanno prima di andare a letto e poi io, finalmente, prendo la scatola dei cottonfioc e ne estraggo uno.
- Me ne dai uno anche a me?
- E a me?
- Tenete.

Ognuno di noi procede eseguendo ricerche varie dentro le proprie orecchie.

- Mamma, che cos'è questa roba gialla?
- E' il sudore del cervello, amore.
- Veramente?
- No.
- Ah.
- ...
- Sarebbe stato bello, però. Sarebbe voluto dire che tu lo usi mooooolto più di noi.
- Già.

Che peccato essere legati a questa vecchia abitudine di non mentire ai figli.

sabato 19 giugno 2010

A modo

Un pomeriggio di qualche anno fa io e la mia amica Francesca siamo andate a fare un giretto a Riccione. Cammina cammina, ad un certo punto ci imbattiamo nel negozio di una nota marca di moda che non sto qui a dirvi Armani. Il negozio è così a modo che io non mi sento a modo neanche a guardarlo, perché io non sono mai vestita a modo, non ho il fisico a modo, non ho il portafoglio a modo, e anche se guardare non costa niente, io non mi sento a modo nemmeno a fermarmi lì davanti. Però passando è impossibile non buttare l'occhio (che non è a modo nemmeno quello) dentro alle immense vetrine. E' così che il mio sguardo si posa sopra un manichino situato nel bel mezzo di questo grande salone a modo, con grandi vetrine a modo e una porta gigante a modo; sta vicino alla cassa, a modo anche lei con la cassiera a modissimo. Il manichino in mezzo alla sala è vestito con un completo nero giacca camicia cravatta pantalone, e l'hanno piazzato lì in mezzo alla sala. Allora io passo oltre ma poi torno indietro, penso che questi stanno facendo l'arte, sono troppo avanti a mettere i manichini in mezzo alla sala, ci vedo dell'arte, ho già dei pensieri filosofici-critici-analitici-storici-sintetici della società contemporanea, tutto un frullamento neuronico, ho già un libro intero nella mia testa dal titolo:
"Della moda a modo, del manichino, ma ci sei? ma tu chi sei veramente? ma soprattutto del concetto di Vetrina Trasparente, bisogna parlarne subito e in modo approfondito".
Lo so, il titolo è troppo lungo e per questo non verrà mai pubblicato questo saggio che è tutto nella mia testa. Pazienza. Comunque io torno indietro, lo rivedo nella sua posa plastica, lo osservo fino al limite massimo della molestia al manichino e poi ritorno sui miei passi, raggiungo con corsetta a balzetti la mia amica Francesca che è già di là dalla strada con la bambina nella carozzina che mi aspetta.
"Franci", dico.

Chiedo a lei che sa tutto. La Franci sa tutto, ha sempre saputo tutto. Io sono 21 anni che la conosco e lei ha sempre saputo tutto; io chiedevo di qualsiasi cosa e lei mi rispondeva con pazienza infinita e amore e tanta carità cristiana. Una volta, a casa sua (avremo avuto 17 anni), era al telefono con un suo amico. Dice: "Ci credo che ha vinto, si è sempre allenato con la Graf". Che cos'è la graf? le chiedo io. Lei mi guarda un po' perplessa e mi dice "Ma veramente non sai della Graf?" e io no, non sapevo niente di questa graf, e allora lei mi spiega, mi dice La graf è una macchina che spara le palline da tennis, tu puoi regolare la velocità, ma ce l'hanno solo i campioni, e quindi tu ti alleni con la graf che spara le palline, ma anche una dietro l'altra eh, pam pam pam, e io Dài! e lei continua e dice Sìsì, poi ti tiene anche il punteggio automatico quando le prendi e ti dice il tuo livello, quanto ti devi allenare, capito? La Franci sapeva sempre tutto.
Poi un giorno ho scoperto che la graf migliore del mondo era lei che mi sparava tante di quelle palle che non sto neanche a dire, a me che ero ingenua e credevo a tutto. Però era buona e mi svelava le palle subito.
Una volta, per dire, mi ricordo che sua mamma stava friggendo della roba da mangiare e io vedevo tutti gli schizzi volare. Franci, dico, ma tua mamma non ha paura di scottarsi con l'olio bollente? Madonna, mi dice lei, di brutto! ma infatti di solito indossa una roba apposta. Ah sì? dico io, e lei continua e mi dice Sì, adesso non la indossa perché è da lavare e fa come può, ma praticamente lei si mette questa tuta che le copre le braccia e la pancia, tipo uno scafandro, e nella faccia ha un cappuccio come quello degli apicoltori, hai presente? quelli con la finestrella trasparente? Vero mamma? Sua mamma santa donna diceva Eh? senza neanche voltarsi e allora poi la Franci continuava e diceva Ma perché? tua mamma non lo usa? guarda che è pericolosissimo eh. E io che ne sapevo, no, la mia mamma non lo usava, e lei andava avanti e arricchiva di dettagli.
La Franci era talmente graf quando raccontava le robe che io ci cascavo sempre, e allora devo anche averle chiesto dove lo aveva comprato, lo scafandro. Poi la Franci rideva talmente di gusto, e anche io, che quando non ci cascavo, un po' mi dispiaceva.

Ma di cosa stavo ciarlando? ah, sì, il manichino (intanto, a te lettore che passi distrattamante per questi meandri ti dico che se sei arrivato a leggere fino a qui sei un eroe. E hai vinto un manichino).

Comunque io chiedo alla Franci perché Armani mette i manichini in mezzo alla sala e lei mi dice che non è un manichino, è un buttafuori. Cioè stai dicendo che quella roba lì sarebbe un uomo vero? che respira e tutto? dai, basta Franci, siamo grandi adesso, basta fare la graf.
E invece aveva ragione, era vero: il manichino era un essere umano capace di stare fermo senza respirare in mezzo alla sala, con l'unico scopo di buttare fuori certa gente dal negozio. Entri con le ciabatte da mare e non fai decoro? fuori. Entri col cane ma si vede che hai soldi a palate? dentro signora prego cosa desidera. Entri con bambino frignoso e spettinata? fuori. Entri con la faccia da squattrinata? fuori. Tocchi? fuori. Entri con la faccia molto russa? priego mi dichia. Forse fanno dei corsi per i buttafuori dei negozi fighi, ma non ho avuto il coraggio di chiederlo alla graf perché mi avrebbe imbastito su una storia con tanto di dettagli e io ci cascavo con tutte e due le scarpe, come sempre.

Son tornata a controllare se era vero e, sì, era vero: il manichino ad un certo punto si è mosso, ho visto benissimo che ha girato la testa lievemente a destra.

Molto a modo.

venerdì 18 giugno 2010

Sono in due

Comunque giovedì mentre tornavo da scuola e c'era quel tempo che non decide, che non sai se piove o c'è il sole, che da una parte è tutto nero come la pece e dall'altra ci sono le nuvole bianche, che il mondo è diviso in due.
Comunque giovedì mentre tornavo a casa in macchina dopo una giornata di lavoro continuo e matto, e anche il dentista nel mezzo, che mi ha detto Lei mi deve aiutare, si deve passare il filo, e io ho pensato Che carino, aiuto lui per stare bene io.
Comunque giovedì, alle sette e mezza di sera, mentre tornavo a casa in macchina, si è aperto davanti a noi in cielo uno di quegli arcobaleni interi, perfetti, era così grande, con tutti i colori , non ne mancava uno, e tutte le macchine rallentavano, sicuro che avevamo tutti il naso per aria. E a guardar bene erano due, uno sopra l'altro. Quando l'arcobaleno è perfetto, sono due. E quello era un arcobaleno perfetto.

Mi è venuto in mente perché ogni tanto mi cerco la Magoni e stasera son capitata qui e stasera è una sera che l'arcobaleno ci sta benissimo.

Pile

Sono giorni che la pila dei panni cresce. E mi guarda. Mi guarda e non favella, e quando la pila non favella è anche peggio.
Chi favella, invece, è Van. Van mi dice: Mi toccherà imparare a stirare, che tradotto vuol dire più o meno stira. E la pila resta lì. Passa qualche giorno, la pila intanto cresce, anche autonomamente per la verità, e Van mi dice, così, distrattamente: Ehm, ci sarebbe da stirare (apprezzo la sincerità). E la pila resta lì. Accorgendosi come un'aquila dall'acuto ingegno che la pila non solo è ancora lì intatta ma che ha ormai raggiunto altezze vorticose e tenta le sue prime lallazioni, temendola anche un po', sento Van che parlotta tra sé e sé scrollando la testa e cercando di calcolare se sia meglio imparare a stirare o gettare direttamente tutta la pila dalla finestra.
Ok, ok. Ho capito. Ho-capito. Fa caldo, sono oberata, sono stufa, girerei vestita di canovacci, se fosse per me, e a voi farei usare dei tappeti legati con la cucitrice (perché non vi vestite con i tappeti? ne abbiamo anche di colori sgargianti), e sento salire un po' di nausea. MA OCCHEI, ho detto, occhei. Ho capito. Guardo la pila, guardo Van, riguardo la pila e la pila lo sa che quando la guardo così è perché sono in cima, e sa anche bene che quando sono in cima poi l'azzanno con rabbia e sudore accanendomi per ore e ore su di lei. A questo punto i giochi sembrano fatti, è una buona serata fresca e quando è fresco è bene; e io stirerò. Ma in tutta questa semplice storia di pile e donne e tappeti e pile e donne, c'è un ma.

Perché bisogna stare molto attenti alle pile. Ci sono pile e pile, e le pile di giugno sono pazzesche, le più terribili. A volte ci puoi trovare dentro anche i pantaloni di dicembre, sono pile con i grilli nella testa e piene di idee strane e rivoluzionarie. Mai calare la guardia con le pile di giugno. E infatti. Infatti anche questa sgualdrina è una di queste.

Insomma, non gli piace tanto il mio sguardo, alla furbetta, ed è un attimo: approfittando di una mia momentanea distrazione dovuta al richiamo primitivo del figlio che urla "fahaatttohooooo mahammahaaa" dal bagno, lei tenta la fuga. Se ne va. Va via. Sa che mi accanirò di lì a breve e allora ha la grande pensata di andarsene. Semplice. Cosa fa, la sciocca? Esce di casa, anche lentamente per la verità, come se fosse la cosa più naturale del mondo che una pila di panni variopinti e spiegazzati prenda la porta ed esca di casa e che poi si incammini giù per strada (ma dove andrà mai, mi chiedo io calma e sanguigna fredda). E fa pure la gnorri, capito? che ogni tanto si gira che deve controllare se la seguo, con lo sguardino socchiusino di quella che è tutto normale, e che cosa c'è adesso di strano se vado a fare un giretto, non so io, sempre a controllare tutto in questa casa non c'è un minimo di libertà (credo di scorgere anche la mossina con la mano, ma non ci giurerei).

Comunque scendo anch'io (e per forza, vuoi lasciare una pila girare da sola di sti tempi?) e dopo averla seguita un po', perché è anche divertente guardare una pila di roba che se ne va a zonzo, mi tocca agire. Scusa pila? Ma dove vai?
Lei mi guarda e allora le viene quest'idea meravigliosa della corsetta simil fuga. Oh signur, ma cosa fai? Sei troppo alta, dove vai? Ma non vedi che perdi tutte le mutande e i calzetti in giro? Ma ti sembra una roba da fare?
Niente, scoordinata come una pila scoordinata, continua a correre. Costretta all'azione di forza, mi piazzo davanti a lei in uno scontro non proprio edificante e caccio il mio fantastico: Mavedidipassaresubitoacasadicorsaaaadisgraziataaaaa! utilizzando una infallibile tecnica di richiamo tramandata di generazione in generazione, la tecnica del braccio teso con l'indice puntato verso la porta di casa, il corpo tutto tinco con le gambe unite e il culo indietro e con il tono di voce che carica gradulmente come un motorino, passando dal basso e lento fino al veloce e urlato, per diventare una roba strana, stridula, che spesso le ultime parole rischiano di restare strozzate in gola ma non importa, perché tanto la vittima ha capito tutto già dal primo Mavedi. Nulla sì può contro il braccio teso della donna incazzata. Si raduna una certa folla, i vicini fanno il tifo, son momenti che la via racconterà per giorni, che qui non succede mai un cazzo, son cose che suscitano più interesse del principe filiberto, o come si chiama, che balla su rai 2. Alla fine la vinco io e lei, testa bassa e zitta zitta, passa a casa. Si posa sul divano, devo dire anche con un certo stile imparato negli anni, con quella giusta arrendevolezza un po' vittimistica (tutta scena; sospira pure, l'attrice) che mi sembra una mossa della Fracci con il braccio sugli occhi (che pena), ormai rassegnata alle prossime spazzolate violente del ferro. Per vendicarsi, mano a mano che io stiro e il sudore riga la mia faccia, la sua altezza cresce. Son tremende le pile di giugno, io lo so.


E io stiro. Stiro e mentre stiro penso che stirava mia mamma, stirava mia nonna, stirava la mia bisnonna, stirava la nonna della nonna della mia bisnonna.

Stiro e penso che la donna stira dalla notte dei tempi, probabilmente stira persino da prima che inventassero il ferro da stiro. Secondo me, la donna stira da quando Dio disse: "Donna, tu partorirai con dolore e stirerai montagne e montagne e montagne e montagne di panni e mutande". Però quest'ultima cosa non è passata alla storia, soprattutto la parola mutande. Chissà perché. E' probabile che in quel momento gli uomini stessero guardando una partita di pallone e qualcuno cacciò un rutto talmente fragoroso, a cui seguirono risate maschie talmente fragorose e strizzatine e grattatine di palle talmente virili e maschie che, ahimé, questa amara verità finì perduta nell'aere.

Che a saperlo prima non cambiava niente, ma a saperlo prima almeno lo sapevamo prima.

Comunque nutro speranze. Intanto l'epidurale l'hanno inventata. Forse un domani nei tempi post-postmoderni gireremo tutti con degli scatoloni addosso con i buchi per le gambe e le braccia. E si sa, carta e cartone non si stirano e non si lavano. Dai, non si sa mai.

lunedì 14 giugno 2010

Imperfettamente

"Facciamo che io ero già grande e te mi volevi sposare?"

Se c'è una cosa perfetta, è l'imperfetto dei bambini.

domenica 13 giugno 2010

Zone di frontiera

Esiste, tra gli amanti, o tra gli amici, una comunicazione extrasensoriale? Una cosa tipo che ci si pensa contemporaneamente, oh! ti stavo chiamando io, pensa... oh, anche tu mi pensavi? Anch'io ti penso. Ma dai, ecc?
Perché no, potrebbe essere.

"Sandra, smettila di pensarmi così intensamente, la notte, che poi mi sveglio e ti penso e mi tocca di masturbarmi. Al limite vieni direttamente qui, se proprio."

Successo? Successo, successo.

- Ma guarda che io non ti stavo mica pensando.
- Ah, non eri tu che mi pensavi? Oh, allora forse semplicemente ti pensavo io. Arrivato niente? No?
- No. La gatta però faceva cose strane.
- Ma allora vedi! Vedi che è vero! Ho solo sbagliato mira, però esiste, esisteee!
- ...
- Mi ami?
- No.
- Però mi desideri.
- Mh, no.
- Allora mi pensa la tua gatta, sicuro.
- Non so. Se vuoi vieni qui che lo scopriamo subito. Ma per me gli piace di più il Fufone. Non per dire eh, a occhio e croce, così.

Delle volte sarebbe bello pensarlo; delle volte è vero, delle volte no.

Quando allattavo, ad esempio, la notte, mi succedeva una cosa buffa: io e il ciuccione avevamo rodato un orario. Mi svegliavo sempre qualche minuto prima che si svegliasse lui a chiamarmi che aveva fame e mi voleva, e solo quando sentiva il mio odore si calmava, e nella notte ci godevamo quel momento tutto nostro. Mi sono sempre chiesta come fosse possibile avere tanta sincronia e sintonia. Eppure esiste. Ci sono cose che succedono che non hanno una spiegazione razionale, ma succedono. Succedono con i figli, con gli amici, con gli amanti. Succedono con persone che non si vedono da anni; succede che un giorno pensi a un amico intensamente e non sai perché, semplicemente ti viene in mente per caso mentre cammini per strada e succede che poi lo incontri e ci si abbraccia e ci si ricorda e ci si commuove, anche. E poi ci si saluta e ci si rivedrà chissà quando.
Succede che sei triste forte, un giorno, che magari ti è successa una cosa che ti ha sbregato le budella, e allora pensi a un'amica lontana che non senti mai, forse due o tre volte all'anno ma con la quale c'è un legame tutto speciale. Succede che stai male e pensi che avresti bisogno proprio di lei, delle sue parole che sanno rimettere a posto le cose, ti fanno riaffondare le radici nella terra e poi ti senti di nuovo in pace; e succede che torni a casa e scopri che c'è una sua mail, di lei che non ti scrive mai e che invece ti manda un link che ti fa ridere e pensare che ci sono anche cose più gravi nel mondo, e tutto prende un'altra prospettiva.
Succede, è sempre successo. Qualcuno le chiama coincidenze, qualcuno nemmeno se ne accorge. E anch'io delle volte sarei tentata di chiamarle coincidenze. Ma invece mi piace pensare che siamo legati, che ci chiamiamo come mi chiamavano i ciuccioni che avevano voglia di me.

Un anno fa si parlava di questa cose con mio padre. Mi dice Aspetta e poi va nella stanza dei libri e se ne torna con un saggio scientifico, "Dieci domande alle quali la scienza non può (ancora) rispondere", Michael Hanlon, edito Le Scienze, del 2007.
Nel capitolo "Possiamo davvero essere certi che il paranormale sia una sciocchezza?", Hanlon analizza la differenza tra credenza irrazionale e credenza scientifica, evidenziando perché sia scientifico credere e indagare la teoria delle stringhe (ancora non dimostrabile e della quale alcuni scienziati nutrono molti dubbi) o il fatto che oggetti come gli elettroni e forse persino interi atomi possono essere in due luoghi diversi allo stesso tempo (l'entanglement) e non lo sia (scientifico) credere e indagare una "sgargiante versione disneyana, dove in fondo a ogni giardino ci sono le fate e nel cielo c'è un omone gentile che fa attenzione a ogni nostra mossa." (cito liberamente).

Andando avanti nella lettura, che tra l'altro consiglio, leggo che anche Manlon, scienziato scettico e a cui viene l'orticaria a sentir parlare di oroscopi canini e olii essenziali, lascia aperta una strada di ricerca. Dice: " I fenomeni paranormali, probabilmente, sono sciocchezze. In massima parte e il più delle volte. Ma nelle zone di frontiera è possibile che la scienza stia iniziando ad indagare qualcosa che è enormemente e profondamente interessante quanto i fenomeni più folli della nuova fisica e della nuova cosmologia. Se siamo disposti a credere nella materia oscura, nell'iperspazio multidimensionale, nell'energia oscura e nelle singolarità nude, credo che un po' di telepatia non sia troppo difficile da mandar giù."

Ecco, Manlon, grazie; allora io continuo a bearmi nel pensare che posso, eventualmente e in certe circostanze, essere in contatto con un'altra persona. Perché è troppo bello da vivere e da credere e mi piace proprio pensare che si può andare e venire da certe zone di frontiera.

mercoledì 9 giugno 2010

9 giugno

La mia amica Francesca è arrivata e io, che ogni tanto mi piegavo e mi tenevo la pancia, le dicevo: "Guarda, partorire non è mica così doloroso come dicono tutte, ma va là! Un dolorino ogni tanto, ma sopportabilissimo". E io, Van, lei e la mia pancia andavamo su e giù per il bar dell'ospedale per passare il tempo; dovevo stare lì perché ciccino non voleva nascere, era già diversi giorni "fuori tempo", si diceva allora.
Ok, io vado, mi ha detto poi la mia amica Francesca, e chiama quando si muove qualcosa.

Signora, deve fare le scale.
Fai pure le scale.
Signora, gemelli, vero?
No. Era uno. Un bove di quattro kili e rotti, lungo da far paura. Mica me lo dicevano, ai monitoraggi. Scusi, ma secondo lei quanto peserà? Mi guardavano, guardavano il bovetto nello schermo, mi riguardavano e sorridevano (era compassione) e poi mentivano spudoratamente e mi dicevano che non si poteva calcolare. Ok, pensavo. E' un bove.

Signora spinga. No no, muoio. Paf. Ueue, Nato. Alle vicine di letto capitava così. E io niente. Sa, è il secondo. Sa, è il terzo. Sa, è il primo, ma non è per tutti uguale. Eh, no, infatti, pensavo io.

Fai pure le scale. Van, andiamo a fare un giro nel giardino, dai, però prendiamo l'ascensore, stavolta. Ok. E allora eravamo davanti all'ascensore che aspettavamo che si aprisse la porta. L'apertura della porta e la contrazione decidono per la simultaneità. Dentro noto a mala pena due nonne con borsetta e un nonno. Io intanto mi pianto davanti all'uscita dell'ascensore con braccia e gambe a forma di stella in una smorfia che non devo essere stata tanto carina, ché già avevo una pancia così, due tette così, un naso così, due piedi così. Il nonno dice: "Signora, noi dovremmo uscire". La nonna gli parte con una gomitata nel fianco che poi ha sentito la doglia anche lui. Ah ah. Grande nonna. Le porte si sono richiuse con loro dentro. Forse Van ha detto "scusate". Forse la signora mi ha guardata con tanta dolcezza. Intanto io odiavo tutti. Loro stavano bene, bastardi, e poi magari se lo sarebbero anche coccolato, il ciccione, se la smettesse un attimo di caccciarmi i piedi dritti nelle costole e nella cistifellea, che sono diventata gialla di faccia ormai; fegato, reni, pancreas, intestino: non c'era più posto per nessuno in questi trenta centimetri di pancia che ho.

Fai pure le scale. E su e giù e su e giù. Niente, centimetri UNO, e all'appello ne mancavano ancora otto-nove.

Mi metto a cavalcioni su una sedia, perché: Signora, dice, cerchi le posizioni in cui sente più sollievo" (seh). Chiudo gli occhi un attimino, eh, ma te Van stai qua, qua, qua, non ti muovere da qua, capito? Io ti odio, lo sai vero? perché io sì e te no? Non è che mi massaggi un po' sotto la schiena amore grazie. Poi un dolore, ma porc! ma neanche un secondo per riposare, qui? Ma se sei crollata per sei minuti! Sei? Non è vero. E invece sì, d'orologio. Guarda! Opperò, vedi come passa in fretta il tempo, quando ti diverti?
Le acque! Evviva! Il vomito! Evviva! (Evviva? sì, evviva, evviva, perché al corso ti dicevano che quando vomiti devi essere felice ché ormai ci siamo, ti dicevano). Secchi e stracci, stracci e secchi, secchi e stracci stracci e secchi.

Dopo è tornata la mia amica Francesca che mi ha visto e non mi si voleva avvicinare più. Mi guardava e parlava con Van e mi guardava e sembrava come se io non potessi rispondere. E infatti non potevo tanto.

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Ore 21,30
Nguahaa.
"Madonna questo, guarda che due belle cosciottone!".

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Sì tesoro, così ha detto la dotoressa. E sì, queste sono state le prime parole che ti sei sentito dire appena hai messo piede qui.

Le seconde sono state le mie, eri avvolto in una asciugamano e avevi un sacco di capelli ricciolini e neri neri appiccicati alla testa. Ciao amore mio, è un piacere conoscerti. Sei bellissimo.
Poi non sono riuscita a dirti nulla perché avevo la voce rotta, sai, è un momento un po' così, che non ci credi e ti senti un eroe e ti senti più pieno dentro di prima, anche se in realtà, dentro di me, tu non c'eri più.

Auguri, cucciolo mio.
E quest'anno sono nove anni che ti amo senza condizioni.

lunedì 7 giugno 2010

C'è vita?

L'altro giorno si faceva una passegiata distratta in spiaggia verso le sei di sera. Mare cielo acqua sole nuvolette sole mare turisti mare cielo turisti bambino paletta ombrellone ragazzo palestrato e arredamento vario della riviera. Ad un certo punto noto una signora poco più che settantenne, fisico magro in bikini fiorato, capello color menopausa e messa in piega fresca fresca. Parla al cellulare a voce alta ed è impossibile non ascoltare. E ascoltiamo.

"Noi siamo qui in spiaggia, adesso. Dì Luisa, siamo in 'sto paesotto che è carino, eh, per carità, si mangia bene e è bello anche qua giù al mare. Solo che la sera non c'è proprio niente da fare, mica come a Rimini, qua è tutto morto, non c'è per niente vita".
E sì che qui è tutta una balera, possibile che nessuno la porti a balàre? Che perla, ho pensato.

Poi per un attimo me la sono vista con una parrucca blu elettrico e una gonnellina bianca a pailettes ballare unz unz su un cubo di fianco al Principe Maurice del cocoricò. Che bella immagine. Poi ho anche pensato che io, poco più che trentenne, passeggio in spiaggia per evitare le vene varicose.
Io mi sa che non sarò mai giovane come la signora in bikini fiorato.

domenica 6 giugno 2010

TVeleno

- Mamma, lo sai che l'altro ieri il mio amico mi ha lasciato da solo a giocare a baseball per guardare le Winks?
- Ma dai!? Le Winks, pensa.
- Io che sono indignato anche solo a guardare la sigla. Che schifo, quelle stupide magrissime, con i tacconi e i capeli blu.
- E ti ha lasciato solo in giardino.
- Sì. Ma lui sa tutti i nomi, i poteri, se glielo chiedi ti fa un trattato di mezz'ora.
- Ma che poteri hanno?
- Uff, non lo so, sono stato costretto a vedere una puntata. Ce ne erano due, ma non ce la potevo fare e sono andato a giocare di fuori. Che schifo.

Dopo un godimento interiore incredibile per il dialogo e la grande gioia per il figlio pensante che mi ritrovo, mi sono fermata a pensare. Perché gli fanno schifo le Winks? Solo perché è un maschietto? Mh.
Che dipenda anche dal fatto che, non guardando mai la tv, non ne è intossicato e quindi gli saltano agli occhi le schifezze? Un po' come è successso a me un pomeriggio a casa di un'amica. C'era la tv accesa, senza volume; trasmetteva un programma sul 5, PomeriggioQualcosa (non mi ricordo il titolo). C'erano due bimbi di quattro anni che facevano un balletto rock vestiti come adulti, amiccando come adulti, smorfieggiando come adulti, guardando la telecamera come adulti ed erano già tristi come adulti. La conduttrice li ammirava pure commossa con gli occhietti lucidi. Sembravano scimmiette ammaestrate e a me veniva da vomitare. Sarei andata lì per liberarli, non senza fare una carneficina con spargimento di sangue e dolore. Lì sai che spegnere non basta.
Lo stesso effetto delle Winks per mio figlio.

Se non lo avete ancora fatto, provate. Spegnete la tv per tanto tempo (almeno due mesi. Io l'ho spenta più di un anno fa e sono ancora viva. Non rischiate niente, tranquilli) e poi guardate un programma a caso (sconsiglio il tg1, iniziate con qualcosa di meno forte. O al limite fatelo con il secchio vicino). Garantisco nausea, vertigini, spaesamento e irresistibile voglia di spaccare tutto. Alla fine mi consolo un po' pensando che la posso spegnere (l'aggeggio è ancora valido per i film in dvd e per la wii. Si possono anche vedere le foto delle vacanze senza tirare fuori il proiettore delle diapo che scoraggiava dall'inizio. Dov'è che l'ho messo? Oddio la polvere come si fa adesso libera il muro prendi qualcosa per alzarlo non si mette a fuoco perché sempre così valà metti via tutto le guardiamo un'altra volta fa lo stesso ciccia. Alla tv è comodo e bello. Ah, il proiettore non lo fabbricano più, sappiatelo).
Tornando alla tv trasmessa, mi consola meno sapere in quanti, ancora, fanno uso del peggiore dei veleni (e non chiamiamola droga, per favore. Non offendiamo) e delle nefaste sue conseguenze.
Cervelli lessi.
:/